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Post by Ray Sant on Dec 9, 2006 19:29:23 GMT 1
Apprendiamo con sgomento la notizia della morte di Alberto D'Aguanno "il romanista".
Sentite condoglianze ai familiari del mitico Alberto
Roma Club Malta
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Post by a s r 1927 on Dec 9, 2006 23:56:22 GMT 1
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Post by Ray Sant on Dec 16, 2006 14:12:26 GMT 1
I FUNERALI DI ALBERTO D'AGUANNO
LACRIME E FIORI GIALLOROSSI, CIAO DAGUA
DANIELE LO MONACO MONZA:Uno tra le decine di cronisti presenti, uno dei più anziani, era sbalordito: «Non ho mai visto tanta partecipazione per il funerale di un giornalista». Forse perché Alberto D'Aguanno, che ieri ha salutato per l'ultima volta chi gli voleva bene dando appuntamento al Duomo di Monza, e s'è presentata una folla sterminata, non era solo "un giornalista". Forse perché Alberto D'Aguanno viveva la vita con quella partecipazione non forzata che gli garantiva mucchi d'amici, veri, pieni, intensi, semplici, affettuosi. Forse perché Alberto D'Aguanno ha scelto d'andar via venerdì notte nel sonno, con quella discrezione con cui in vita era al fianco di tutti noi, di tutti quelli che davano per scontata la sua presenza ironica e dissacrante ogni volta che ne avevano bisogno. CE N'ERA ancora di quel bisogno e essere lì ieri è stato un modo per testimoniarlo in maniera definitiva. La Basilica era stracolma di visi noti e meno noti, il sagrato antistante brulicava di facce trasfigurate dal dolore: le tribune stampa di San Siro e dell'Olimpico, praticamente tutta la redazione sportiva di Mediaset, una folta rappresentanza della Rai, direttori di testata e semplici collaboratori, giornalisti di ogni testata sportiva, procuratori, delegazioni di società (Salvatore Scaglia della Roma, Ariedo Braida del Milan, Paolo Viganò dell'Inter), allenatori (il ct Donadoni e Prandelli), giocatori (Pippo Inzaghi), migliaia di semplici tifosi, qualcuno giallorosso, tutti lì, ad ascoltare le tenere parole dell'Officiante e quelle commosse di Monica Gasparini, la giornalista di Studio Aperto che con Alberto aveva costruito una famiglia una decina di anni fa: «Anche Alberto sarebbe stupito di tanta partecipazione. Non potrò farlo con ognuno di voi, ma vorrei ringraziarvi uno per uno. Fabio ha avuto un'altra dimostrazione di che persona speciale è suo papà». Fabio, otto anni, chiamato Fabio Junior da Alberto che non perdeva occasione per richiamare il suo senso d'appartenenza romanista, teneva la manina stretta a quella della mamma, gli occhi curiosi, l'anima ferita e chissà quanto. Sulla bara, corone di fiori giallorossi: «E tutti - ha scherzato il sacerdote - sanno perché». Perché Alberto viveva di passioni e la Roma era una delle sue passioni speciali, da non rinnegare neanche dopo una vita passata in Brianza. Per questo la bandiera che Alberto sventolava ebbro di gioia fuori dall'Olimpico nel giorno dell'ultimo scudetto, da ieri è tornata a casa sua, donata al piccolo Fabio da David Rossi, direttore di Rete Sport, la radio che ospitava ogni giorno i pareri acuti e illuminati di quel monzese di radici romane che ispirava simpatia anche solo a guardarlo. Tenerissimo il ricordo del capoufficio stampa della Federcalcio, Antonello Valentini: una foto di Alberto nella tribuna stampa dello Stade de France in occasione della sfida europea di settembre tra Francia e Italia con indosso la maglia di Materazzi e la mano protesa con quattro dita alzate, come le coppe conquistate dalla Nazionale azzurra, e sotto la scritta "Ad Alberto, Campione del Mondo". Lo era davvero. Lo sarà per sempre.
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Post by Ray Sant on Dec 21, 2006 20:53:28 GMT 1
Sapessi com’è strano tifare Roma a Milano
di Alberto D’Aguanno
Sempre la stessa faccia stralunata, ad accompagnare la solita domanda: «Come romanista? Ma sei nato a Roma?». Questa l’eterna condanna di chi tifa giallorosso in terra padana. Come nel tormentone reso celebre da Massimo Troisi («Ah, napoletano… Emigrante?»). Perché se a nessuno verrebbe in mente di chiedere - che so - ad un emiliano, se è un emigrante, il tifoso juventino a Milano non deve dare nessuna informazione supplementare. A lui non chiederanno mai «ma sei di Torino?» per spiegare i motivi della sua fede calcistica. Sta cosa non mi è mai andata giù. E così accentuando – per quanto possibile - la cadenza brianzola facevo scattare il contropiede. Esibivo io l’espressione stupita e mentivo spudorato: «Nato a Roma? No, perché?». Ma la verità è una sola. Il Romanista a Milano è come un pinguino all’equatore. Come minimo si sente in minoranza. Per uno che ha sempre tifato per gli indiani, comunque, una sensazione esaltante. Solo contro tutti, sotto il fuoco incrociato di milanisti, interisti e juventini, a beccarsi prese in giro solenni, ad accumulare settimi e ottavi posti. Quando andava bene. Il ricordo più indelebile del mio primo anno di ginnasio è infatti l’umiliante pratica, svolta con solerzia durante le ore di filosofia, della “tabella salvezza”, con i pronostici dei risultati di Roma, Atalanta, Vicenza, Verona, Ascoli e Avellino, dirette rivali nella lotta per non retrocedere. Tutto questo mentre contemporaneamente il mio amico Alberto Pessina si cimentava nella “tabella scudetto” con la sua Inter (a quei tempi, cari lettori più giovani, i nerazzurri vincevano addirittura il campionato!). Era la Roma della maglia tutta arancione con pantaloncini rossi, del primo lupo stilizzato che – mi ricordo - fece infuriare giustamente i puristi con l’inattaccabile motivazione «me pare un sorcio». La Roma di Chinellato, Ugolotti e De Nadai, quest’ultimo ammirato di persona l’anno prima con la maglia del Monza sui gradoni scalcinati del vecchio “Sada”. Poi le prime volte al Meazza. Nemmeno l’effetto “amarcord” riesce ad addolcire la realtà: quelle domeniche pomeriggio erano sofferenza allo stato puro. Ricordo ancora con raccapriccio un Milan-Roma fine anni ’70, con la "maggica" a indossare la leggendaria “pouchain” che a me piaceva un casino ma che mi valse un’ ulteriore razione di pernacchie da parte dei miei amici a strisce verticali. Sempre per i più sbarbati, la “pouchain” era una divisa futurista con gradazione rosso-arancio-gialla nella parte alta. Finì 0 a 0 con ottanta fuorigioco della Roma (per esagerare con la tortura eravamo gli unici a fare la zona pura) e tre o quattro gol annullati al Milan e relativi insulti dei milanisti del secondo anello rosso. E gli anni non cancellano purtroppo nemmeno il ricordo della fila che si era creata davanti alla porta della mia classe dopo Carl Zeiss Jena-Roma 4 a 0, con i dopatissimi tedeschi dell’est a ribaltare il 3 a 0 dell’andata. Ma bastava tener duro. Il liceo si chiuse trionfalmente in un crescendo di soddisfazioni. La conquista - ai rigori sul Toro - della Coppa Italia e, ovviamente, lo scudetto proprio nell’anno della maturità con un colpo di genio in occasione di Fiorentina-Roma, giornata passata alla storia per il 3 a 2 rimediato in 4 minuti dalla Juve nel derby. Quella domenica ero in curva Ferrovia perché - dopo attento studio del calendario - avevo convinto mezza classe a scegliere Firenze per la gita scolastica anziché Venezia… Altro che tabelle salvezza. Il giorno dopo lo scudetto potevo esibire al collo la sciarpa giallorossa, due chilometri a piedi casa-scuola con apprezzamenti irriferibili da parte degli juventini. E qualche isolato applauso dei milanisti - a quei tempi gemellati - al momento dell’esposizione della sciarpa alla finestra della classe. Non altrettanto comprensiva invece la preside che fece irruzione in classe per farmela togliere (juventina anche lei?). Avevo giurato solennemente sul pancione di mia moglie incinta, dopo Roma-Atletico Madrid con l’orrido Van Der Ende, che avrei risparmiato a mio figlio le sofferenze del tifoso giallorosso in terra nemica. Promessa non mantenuta e così Fabio Junior non capisce perché tutti fanno quella faccia quando gli chiedono: «Ma perché sei romanista?».
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